{"id":521,"date":"2013-11-01T15:57:16","date_gmt":"2013-11-01T15:57:16","guid":{"rendered":"http:\/\/fabriziodamico.it\/?page_id=521"},"modified":"2013-11-01T15:59:48","modified_gmt":"2013-11-01T15:59:48","slug":"scialoja-lultimo-quadro","status":"publish","type":"page","link":"https:\/\/fabriziodamico.it\/?page_id=521","title":{"rendered":"Scialoja, l’ultimo quadro"},"content":{"rendered":"
Nel marzo del 1997 moriva Willem de Kooning, forse il pi\u00f9 grande fra i grandi protagonisti dell\u2019action painting<\/i> newyorkese: colui, in ogni caso, che Toti Scialoja \u2013 complice, anche in questo, Gabriella Drudi, compagna di una vita \u2013 aveva amato di pi\u00f9. Scialoja, che sarebbe scomparso quasi esattamente un anno dopo, sent\u00ec \u2013 da Roma, e dalla sua et\u00e0, anch\u2019essa ormai tarda \u2013 quella morte come una ferita dolorosa. La avvert\u00ec accompagnata da un groppo denso di profonda malinconia: sentimento nel quale, almeno intellettualmente, Scialoja non credeva, e che pur tuttavia, da quel momento, prese ad aleggiargli intorno. Non so se fu allora, anche, che cominci\u00f2 a ripetere pi\u00f9 spesso d\u2019una sua morte non lontana (\u201ca ottantaquattro anni\u201d, diceva che sarebbe venuta, sbagliando di poco); certamente, fu da quei mesi che cominci\u00f2 a pensare con nuovo coraggio al vecchio progetto di Gabriella di mettere le basi, mentre c\u2019era e poteva prefigurarne il cammino, alla Fondazione che poi \u00e8 venuta, che porta il suo nome e che deve difendere il suo lavoro.<\/p>\n
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Quel giorno di marzo del 1997, intanto, chiese ad Adrian Tranquilli, da anni suo carissimo assistente, di preparargli una tela di cui indic\u00f2 esplicitamente le dimensioni: un quadrato, avrebbe dovuto essere, di 205 centimetri di lato. La dipinse, la dat\u00f2, e vi iscrisse il titolo: per W.d.K.<\/i>, Non la vidi, allora; n\u00e9 credo che altri l\u2019abbiano vista, a studio \u2013 eccetto Adrian, e Gabriella naturalmente, che era sempre chiamata ad approvare, o censurare, le sue tele. Fu ritrovata, avvoltolata in magazzino, solo dopo la sua morte.<\/p>\n
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205 x 205, dunque: una misura per lui affatto inusuale. Un quadrato, grande, ma non grandissimo. La misura di un uomo, che allarghi il suo gesto. Toti aveva a mente, e spesso le sussurrava come cosa intimamente sua, le parole meravigliose di de Kooning: \u201cquando allargo le mie braccia e mi domando dove sono le mie dita, ecco, ho misurato lo spazio che serve a un pittore\u201d. Difficile pensare che in questo quadro a lui dedicato Scialoja non abbia voluto rispondere all\u2019amico scomparso che, anche lui, si riconosceva interamente \u2013 adesso, o forse da sempre \u2013 in quella sua misura davvero umanistica, in quella sorta di albore di classicismo che ancora non sa di sapienti sistemazioni archeologiche, ma che \u00e8 tutto e solamente racchiuso nell\u2019ansia di fondare insieme l\u2019uomo e la sua compagna pittura.<\/p>\n
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Scialoja ha dipinto ancora, dopo questo quadro: altre tele, come usava, ben maggiori per dimensioni, straordinarie se si considera se non altro l\u2019et\u00e0 sua, non stanca sino alla fine: con il talento e la voglia di aggredire ancora uno spazio che fuggiva, \u201cda sinistra a destra\u201d \u2013 cos\u00ec diceva che si dovessero leggere i suoi dipinti \u2013 oltre i confini governati da un unico sguardo. Eppure forse \u00e8 giusto considerare questo il suo \u201cultimo quadro\u201d: come se ad esso Toti avesse voluto affidare una sua estrema parola. Per il tanto che racchiude del suo modo maggiore, prima e dopo l\u2019\u201dimpronta\u201d venuta nell\u2019estate del \u201957: quel gesto forte, subitaneo, eppur gi\u00e0 come di s\u00e9 pensoso; quella luce raccolta in un baleno, nel filamento bianco che si apre la via fra timbri pi\u00f9 scuri; quell\u2019idea, cos\u00ec profondamente connaturata alla sua pittura (un\u2019idea che forse risale sino a Mafai, alle \u2018Fantasie\u2019 e alla lettura critica acuminata che di quei dipinti Scialoja aveva saputo dare) di danza e di ritmo di cui aveva da intridersi la sua pittura.<\/p>\n
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Qui, da sinistra e dall\u2019alto, si procede dalla forra del nero, sgorbiata appena dalle larve del verde, verso i primi segni del bianco, del grigio: che dalla verticale prendono a flettersi, a inseguirsi sulla pagina pittorica. Per farsi, al centro, gremiti: fino al lungo attraversamento del bianco, un colpo di scudiscio che traversa tutta l\u2019altezza del dipinto, scompartendolo a met\u00e0; alla sua destra, i segni reclinano, gi\u00f9 sino al riposo e al silenzio d\u2019un altro verde. A guardare, accanto a questo, alcuni altri dipinti (per lo pi\u00f9 ricoverati allo scadere del precedente decennio) si percepisce come drastica sia stata la riforma del concetto di spazio che designa per W.d.K.<\/i>: l\u00ec una spazialit\u00e0 allargata sull\u2019orizzontale, e potenzialmente infinita; ove alita come un fiato leggero l\u2019ombra della materia cromatica, sposata al fondo da un dialogo tutto racchiuso nel tono.<\/p>\n
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In per W.d.K,<\/i> al contrario, uno spazio compresso \u2013 luogo, avrebbe detto Scialoja in altri anni, di drammatica coesistenza fra \u201cviscere e pensiero\u201d \u2013 aggregato attorno al gesto che lo squarcia senza annullarlo. Uno spazio, infine, dove \u2013 come avrebbe voluto de Kooning, che aveva fondato il suo lavoro sulla costante tensione \u201ca demoralizzare i dogmi stilistici correnti e [\u2026] anche i dogmi dell\u2019arte astratta\u201d (Gabriella Drudi) \u2013 torna sotterraneamente a farsi presente un\u2019ansia che tocca Scialoja in tutti i grandi passaggi della sua pittura: l\u2019ansia per la \u201cfigura\u201d, per qualcosa che, rotte tutte le grammatiche e dimenticate tutte le tautologie dei dogmi dell\u2019avanguardia, torni misteriosamente a far parlare l\u2019umano.<\/p>\n
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